Voglio le scuse di Papa Benedetto XVI per avere negato, durante la sua recente visita in Brasile, l’Olocausto contro gli indios d'America».
La Stampa, Caracas, Paolo Manzo
Se non fosse per le telecamere di Telesur che l’hanno ripresa fedelmente, sarebbe difficile credere a questa dichiarazione, rilasciata venerdì sera a Caracas dal presidente del Venezuela Hugo Rafael Chávez Frías durante l’inaugurazione delle Giornate internazionali della Comunicazione. Naturalmente, la richiesta di scuse ufficiali da parte di Chávez al successore di Pietro ha fatto in pochi minuti il giro dell’America latina, continente dove vivono il 50 per cento dei cattolici e dove, tra il 9 e il 13 maggio scorso, si è recato in visita pastorale il Santo Padre.
«Come può dire queste cose», ha tuonato Chávez riferendosi al Papa, «dal momento che sono arrivati a evangelizzare con gli archibugi. Come può dire che non c’è stata un’imposizione? Allora perché i nostri indios si dovettero rifugiare nelle foreste e sulle montagne? Cristo in America è arrivato molto dopo Cristoforo Colombo assieme al quale, in realtà, è arrivato l’anticristo». Interrotto più volte dagli applausi del pubblico, rigorosamente vestito con le tradizionali camicie rosse che a Caracas sono oramai assurte a simbolo del «socialismo del secolo XXI» su cui Chávez punta con sempre maggior decisione dall’inizio dell’anno, il presidente del Venezuela ha definito l’azione dei conquistadores «un olocausto più grande di quello della Seconda Guerra Mondiale».
L’uscita del presidente venezuelano, cui ha fatto seguito a stretto giro di posta un’analoga posizione del governo boliviano guidato da Evo Morales Aymara, rischia adesso di provocare una sorta di «effetto Ratisbona» in tutta l’America Latina. Ad aver fatto andare su tutte le furie il leader venezuelano che si ispira a Simón Bolivar e vanta di avere un rapporto privilegiato con il líder máximo Fidel Castro è stata una dichiarazione di Benedetto XVI nel suo discorso di apertura alla V Conferenza generale del Celam, il Consiglio episcopale dell’America Latina, che si conclude oggi ad Aparecida, in Brasile. «L’annuncio di Gesù e del suo Vangelo non ha prodotto, in alcun momento, un’alienazione delle culture precolombiane, né fu un’imposizione di una cultura estranea», aveva detto il Pontefice domenica scorsa, difendendo l’attività di evangelizzazione portata avanti dalla Chiesa Cattolica negli anni successivi alla scoperta del continente da parte di Colombo.
La riflessione di Benedetto XVI è andata a insistere su un periodo storico assai controverso, quando dai secoli XVI al XX in America Latina si assistette a una progressiva «sostituzione» dell’elemento umano autoctono con l’immigrazione proveniente dalla vecchia Europa. In questi quattro secoli molte etnie indigene non furono solo evangelizzate dalla Santa Sede ma, contemporaneamente, combattute, condotte in schiavitù o eliminate dai conquistadores e dai loro discendenti, proprio come accadeva contemporaneamente con gli indiani in quelli che oggi si chiamano Stati Uniti d’America. Un binomio, quello tra la conquista territoriale di Spagna e Portogallo e l’evangelizzazione degli indios, a cui è molto sensibile un leader populista e di origine india come Chávez che, non a caso, ha scelto di fare la sua richiesta di scuse ufficiali al Santo Padre proprio all’apertura delle Giornate internazionali della Comunicazione organizzate da Telesur.
E ieri anche il governo del primo presidente indio della storia boliviana, Evo Morales Aymara, ha contattato il nunzio apostolico a La Paz, Ivo Scapolo, per «discutere sulle dichiarazioni del Papa che, oggettivamente, ci preoccupano». La comunicazione alla stampa l’ha rilasciata il ministro degli Esteri boliviano, David Choquehuanca Céspedes. Contemporaneamente da Aparecida i vescovi latinoamericani hanno chiuso la prima settimana della loro conferenza definendo la nuova cultura che si sta diffondendo in America Latina «non molto amica della Chiesa». Difficile sapere a cosa vogliano fare riferimento ma, di certo, il primo pensiero va ad Hugo Rafael Chávez Frías e alla sua richiesta ufficiale di scuse.
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